Mobbing e bullismo?
Come troviamo nella letteratura specifica sul tema del mobbing,
le critiche, i rimproveri e gli ammonimenti che un tempo venivano considerati come propri e peculiari del lavoro, e soprattutto venivano attribuiti a caratteristiche individuali di chi li subiva, oggi formano un quadro che si connota come “mobbing”.
Per indicare il complesso fenomeno del mobbing si utilizza anche il termine “bullying”, che tradotto significa proprio bullismo e prepotenza.
Per mobbing si intende dunque il bullismo in ambito lavorativo, e si articola in quell’insieme di comportamenti, solitamente agiti da un gruppo che aggredisce prima, allontana e isola poi, la vittima di mobbing.
Fra le molteplici definizioni di mobbing vi propongo quella di Ege (2001) che trovo particolarmente chiara ed esaustiva:
“Il mobbing è una guerra sul lavoro in cui, tramite violenza psicologica, fisica e/o morale, una o più vittime vengono costrette ad esaudire la volontà di uno o più aggressori.
Questa violenza si esprime attraverso attacchi frequenti e duraturi che hanno lo scopo di danneggiare la salute, i canali di comunicazione, i flussi di informazioni, la reputazione e/o la professionalità della vittima.”
Tre sono le figure coinvolte nel mobbing: la vittima, gli aggressori e gli spettatori o testimoni.
Il fatto che le vittime solitamente siano persone che tendono a responsabilizzarsi e mettersi in discussione per ciò che accade loro facilita gli aggressori nell'attaccare le loro vulnerabilità.
La domanda che mi viene rivolta più spesso rispetto ai carnefici è: perché lo fanno?
Spesso si pensa che gli artefici siano spinti da rabbia e frustrazione, mentre dalle ricerche svolte è emerso come la motivazione ad agire in maniera prevaricante sia un tentativo di stabilire o mantenere il proprio potere sugli altri.
Chi aggredisce spesso coinvolge i colleghi, (spesso subordinati) per amplificare e rendere più incisive e pervasive le angherie.
Più sono le persone coinvolte, e più il mobbing sembrerà giusto e in quanto tale, giustificabile.
Ci sono anche però spettatori che, pur rendendosi conto della gravità di ciò che succede, rimangono paralizzati dal terrore di poter ricevere lo stesso trattamento oppure semplicemente preferiscono non prendere alcuna posizione, mostrando una tragica indifferenza che consente il prosieguo delle molestie.